A.C. 2874-B
Presidente, il negazionismo e il fare una legge sul negazionismo è un tema molto delicato, specie per chi avuto l'opportunità e l'onore di studiare storia. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di andare a rivedere l'intervento che ci fu nel 1979 e il dibattito in cui in cui Noam Chomsky si schierò pubblicamente per difendere uno studioso, Robert Faurisson – scusate il mio francese pessimo –, che sostanzialmente aveva scritto un libro in cui negava l'Olocausto e l'esistenza delle camere a gas. Noam Chomsky, nonostante non fosse e non sia mai stato negazionista né tantomeno avesse mai avuto simpatie per questo studioso, lo difese dicendo che sarebbe stata sbagliata una legge che proibiva la pubblicazione di questo libro, perché sarebbe stata proibita la libertà di espressione. Noam Chomsky, essendo americano, si rifà molto alla libertà di espressione, che è presente nel loro primo emendamento.
Tuttavia, con il passare degli anni, in Europa molti Paesi hanno adottato questo tipo di legislazione, perché evidentemente si è reso necessario, per vari motivi; pensiamo appunto – come prima ricordava l'onorevole Verini – all'Austria, al Belgio, alla Germania, alla Svezia, al Portogallo, alla Spagna, alla Svizzera e alla Polonia, solo per citarne alcuni. Quindi è con un duplice animo che oggi sono qui a parlare di questa legge, perché ho riflettuto molto e a lungo sull'opportunità o meno, sulla necessità o meno, sull'utilità che una legge di questo tipo può avere nel nostro Paese. Sicuramente abbiamo una situazione molto complicata, da un punto di vista storico, in Italia, un po’ perché la storia, di per sé, è una disciplina relativamente recente (è stata fondata alla fine dell'Ottocento), un po’ perché stiamo parlano di storia contemporanea, quindi di qualcosa che è successo pochissimo tempo fa rispetto a noi, mentre il mestiere dello storico, di solito, è quello di guardare i fatti, cioè con degli occhiali che guardano un pochino più lontano. Perché ? Perché abbiamo ancora presenti tra noi i testimoni di quell'epoca, e li abbiamo avuti presenti con molta forza fino a poco tempo fa (ora ci sono molti meno superstiti); comunque abbiamo avuto tutta una serie di pubblicazioni di memorie, quindi anche un metodo storico nuovo, che è stato quello della testimonianza, quindi quello di studiare i testimoni. Avere un testimone è una cosa importantissima, ma è anche molto rischiosa, perché ovviamente soggettivizza tutto e rischia anche di dare, in realtà, una visione non chiarissima di tutto quello che è successo, tanto più in Italia, dove, come ben sappiamo, la Seconda guerra mondiale ha portato a una divisione in due della penisola, con una parte occupata dall'Esercito nazista e la Repubblica sociale italiana e un'altra, invece, che nel frattempo era stata, dopo alcune insurrezioni (Napoli, Matera), liberata dagli Alleati e in cui quindi c'era il re e non questa occupazione.
Noi ci inseriamo all'interno di questo contesto, e non è un caso – credo – che il nostro Paese arrivi dopo tanti anni a discutere di questi temi, proprio perché la Liberazione e l'unificazione d'Italia ha fatto sì che un pezzo di tutto quello che era successo anche da noi venisse omesso. E quando dico «omesso» intendo questo: non ci sono, come in altri Paesi, molti casi di negazionisti puri, tuttavia esiste, anche nella politica, nel dibattito politico, l'abitudine di omettere tutto un pezzo della nostra storia. Cioè, ci chiediamo spesso – basta vedere il processo ad Eichmann o Kappler – come sia stato possibile che sia successo tutto questo. È stato possibile anche perché una buona parte degli italiani, in quel momento, decisero di voltare la testa dall'altra parte e di accettare quello che stava succedendo (per motivi personali, per interesse personale, per interesse politico, anche per convinzioni politiche), al contrario ovviamente di altri Paesi come la Germania, che ha perso la guerra e quindi è stata «costretta» a fare un'opera di critica e di autocritica rispetto alle posizioni, anche delle persone normali, della cosiddetta società civile in quel periodo. Noi non abbiamo avuto questo processo di elaborazione.
Uno dei casi più eclatanti è quello del 16 ottobre, quando venne rastrellato il ghetto di Roma. Siamo abituati nella retorica – ormai pericolosa, pericolosissima retorica – che accompagna le celebrazioni a pensare che ci sia stato un Esercito invasore straniero che, da solo, con la cittadinanza che si opponeva a tutto questo, ha deportato tutte queste persone. È uscito recentemente un articolo di Osti Guerrazzi in cui, semplicemente andando a vedere nell'Archivio di Stato, si vede come dei 730 ebrei deportati dal ghetto ben 439 fossero stati denunciati o arrestati da italiani; ed erano stati denunciati per motivi molto banali: perché semplicemente si voleva avere accesso all'appartamento del vicino, perché si voleva avere il negozio o l'attività commerciale di quella persona, perché si era invidiosi, perché si riteneva di aver subìto un torto, perché c'era la guerra, perché si aveva paura. Per mille motivi, nessuno di questi valido, ma per mille motivi. Si ha quindi quasi oltre la metà dei deportati che sono frutto della deportazione italiana. La Repubblica sociale italiana, di cui non c’è stata mai forse una vera elaborazione seria, né politica né storica, in questo Paese, aveva messo una taglia di 5 mila lire per ogni ebreo denunciato; il regime fascista, sotto la guida del Ministero dell'interno, aveva aperto ben 46 campi di concentramento e di internamento in cui sono passati anche moltissimi ebrei che poi sono andati a morire nei campi di concentramento e sterminio fuori da noi; la Repubblica sociale italiana aveva anche decretato che gli ebrei erano stranieri e nemici, quindi come tali potevano essere fucilati sul posto oltre che arrestati. Perché dico tutto questo ? Perché, per andare alla nostra storia recente, nel 1960, su 64 prefetti nominati 62 erano stati funzionari di alto livello del Ministero dell'Interno fascista.
Quindi, questo dato ci dà di per sé il fatto che la ricostruzione, la fase costituente e poi in tutto il dopoguerra è stato frutto di un grande compromesso, un'enorme compromesso che ha fatto sì che l'Italia potesse avere una democrazia solida per molto tempo, intendiamoci, ma che ha fatto anche sì che non ci fosse una discussione anche seria e motivata delle forze politiche su quello che era successo. Quando si dice ancora adesso, senza timore di vergogna di essere smentiti, che si sceglie un alleato per le elezioni perché è un fascista di cuore, forse non si conosce a sufficienza la storia del nostro Paese per poter dire pubblicamente una roba del genere, così come quando si fanno saluti romani in piazza o cose di questo tipo, perché noi stiamo parlando di tutto questo. Non è quindi qualcosa verso chi è fuori da noi, ma è qualcosa che è dentro di noi, è qualcosa che è successo, perché gli italiani l'hanno consentito, è successo anche per colpa nostra. Ed è per questo che, concludendo, ricordo uno studio del 2010 fatto dall'Università la Sapienza dove si interrogano 793 studenti matricole di quell'anno (quindi stiamo parlando di persone di ragazzi e ragazze intorno ai 18 ai 19 anni che erano con un livello culturale alto, perché erano con la maturità e in più al primo anno di università), dai quali ci si aspetterebbe un certo livello di risposta, ebbene le risposte sulla Seconda guerra mondiale, sulla prima parte del Novecento, per il 41 per cento erano errate o non venivano date. Cosa vuol dire ? Che semplicemente c’è un altro rischio, questa volta non di omissione colpevole, ma di non conoscenza della storia. Quindi il pericolo del negazionismo diventa non più una questione riservata agli storici, ma diventa una questione di tutti, perché il poter negare la Shoah, poter negare un genocidio, o poter negare le camere a gas, è di per sé una cosa deplorevole e che si può condannare, ma la sua pericolosità sta nel fatto di avere un ambiente favorevole e quando noi abbiamo moltissimi ragazzi, il 70 per cento la popolazione italiana, con un potenziale analfabetismo funzionale, moltissimi ragazzi che non sono in grado di rispondere alle domande sulla prima metà del Novecento, quando abbiamo un substrato di xenofobia e razzismo che in tutta Europa vediamo crescere, e anche nel nostro Paese vediamo aumentare, tutto questo fa sì che il reato di negazionismo e la punizione severa della negazione di questi crimini non sia più – ripeto – una questione solo riservata a qualche professionista, o ad uno specifico settore, ma diventi una questione di tutta la società e anche una questione politica.
Per tutti questi motivi, dopo aver studiato la legge e riflettuto, credo che sia importante approvare questa legge e sia importante approvarla in fretta affinché, anche se in ritardo, anche se dopo 70 anni, anzi forse proprio perché dopo 70 anni, questo Paese inizi finalmente a punire chi nega ciò che è stato e a costruire però contestualmente, anche e finalmente, una memoria che non sia solo una memoria di comodo, ma che sia una vera e impropria ricostruzione dei fatti, perché se vogliamo che non succeda più dobbiamo, noi per primi, sapere quello che è successo.